Adolescenti
Qualche giorno fa, durante l’ultima seduta con il mio gruppo di giovani adolescenti, è emersa una parola che spesso fa storcere il naso: limite.
Una parola che suona pesante, a volte persino ostile. Per molti di loro, limite significa qualcosa che “non ti lascia fare”, “non ti lascia essere”, “non ti permette di sentire quello che vuoi”. E in parte è comprensibile: l’adolescenza è il tempo della spinta, della prova, dell’esperimento; tutto ciò che frena sembra subito un nemico.
Ma mentre parlavamo, è emerso un punto fondamentale: il limite non è un ostacolo, è un contenitore.
Il limite come spazio sicuro
Ho chiesto loro di immaginare un fiume senza sponde. L’acqua dove andrebbe? Probabilmente si disperderebbe ovunque, perdendo forma e forza.
Ed è un po’ quello che succede anche a noi quando mancano confini chiari: ci sentiamo confusi, spaesati, a volte perfino soli.
I limiti, invece, possono fare l’esatto opposto di ciò che temiamo:
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ci rendono più sicuri,
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ci aiutano a capire fin dove possiamo spingerci,
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ci proteggono da rischi che, in quel momento della vita, magari non riusciremmo a gestire da soli.
E per gli adolescenti, sentirsi protetti — anche se non sempre lo ammettono — è vitale.
Capire sé stessi attraverso i confini
C’è un altro aspetto che spesso sfugge: i limiti ci aiutano a conoscerci.
Dentro un confine posso capire che cosa è mio e che cosa non lo è. Dove finisce il mio spazio e dove inizia quello dell’altro. Quali scelte mi rappresentano veramente, e quali sto facendo solo per compiacere o ribellarmi.
Il limite diventa allora una specie di specchio:
ti mostra chi sei, cosa vuoi e, soprattutto, chi stai diventando.
La ribellione come ricerca
Ovviamente, con gli adolescenti, la questione dei limiti non è solo teorica. C’è la parte pratica: li provano, li sfidano, li superano. Sempre.
Ma trasgredire non è soltanto un “capriccio”: è un modo per testare il mondo e verificare la solidità delle relazioni. È una domanda silenziosa:
“Se supero questo limite, tu ci sei ancora?”
E proprio qui l’adulto ha un ruolo chiave. Non il ruolo del poliziotto, ma quello del punto fermo: qualcuno che mantiene il limite con calma, con coerenza, con senso. Così il limite smette di sembrare una prigione e diventa un segnale di cura.
In conclusione
La verità è che i limiti non servono a frenare la crescita, ma a darle una direzione.
Non sono muri, sono mappe.
Non sono catene, sono strutture che permettono di costruire libertà autentica.
Durante quella seduta, mentre ascoltavo le loro riflessioni e resistenze, mi è stato chiaro ancora una volta quanto i limiti — se spiegati, condivisi e sostenuti — possano essere un dono. Un modo per dire:
“Sono qui. Ti vedo. Ti accompagno.”
E forse, proprio questo, è il senso più profondo del limite.
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