Perché i limiti fanno bene: riflessioni da una seduta con gli adolescenti

Pubblicato il 25 novembre 2025 alle ore 13:58

Adolescenti

Qualche giorno fa, durante l’ultima seduta con il mio gruppo di giovani adolescenti, è emersa una parola che spesso fa storcere il naso: limite.
Una parola che suona pesante, a volte persino ostile. Per molti di loro, limite significa qualcosa che “non ti lascia fare”, “non ti lascia essere”, “non ti permette di sentire quello che vuoi”. E in parte è comprensibile: l’adolescenza è il tempo della spinta, della prova, dell’esperimento; tutto ciò che frena sembra subito un nemico.

Ma mentre parlavamo, è emerso un punto fondamentale: il limite non è un ostacolo, è un contenitore.

Il limite come spazio sicuro

Ho chiesto loro di immaginare un fiume senza sponde. L’acqua dove andrebbe? Probabilmente si disperderebbe ovunque, perdendo forma e forza.
Ed è un po’ quello che succede anche a noi quando mancano confini chiari: ci sentiamo confusi, spaesati, a volte perfino soli.

I limiti, invece, possono fare l’esatto opposto di ciò che temiamo:

  • ci rendono più sicuri,

  • ci aiutano a capire fin dove possiamo spingerci,

  • ci proteggono da rischi che, in quel momento della vita, magari non riusciremmo a gestire da soli.

E per gli adolescenti, sentirsi protetti — anche se non sempre lo ammettono — è vitale.

Capire sé stessi attraverso i confini

C’è un altro aspetto che spesso sfugge: i limiti ci aiutano a conoscerci.
Dentro un confine posso capire che cosa è mio e che cosa non lo è. Dove finisce il mio spazio e dove inizia quello dell’altro. Quali scelte mi rappresentano veramente, e quali sto facendo solo per compiacere o ribellarmi.

Il limite diventa allora una specie di specchio:
ti mostra chi sei, cosa vuoi e, soprattutto, chi stai diventando.

La ribellione come ricerca

Ovviamente, con gli adolescenti, la questione dei limiti non è solo teorica. C’è la parte pratica: li provano, li sfidano, li superano. Sempre.
Ma trasgredire non è soltanto un “capriccio”: è un modo per testare il mondo e verificare la solidità delle relazioni. È una domanda silenziosa:
“Se supero questo limite, tu ci sei ancora?”

E proprio qui l’adulto ha un ruolo chiave. Non il ruolo del poliziotto, ma quello del punto fermo: qualcuno che mantiene il limite con calma, con coerenza, con senso. Così il limite smette di sembrare una prigione e diventa un segnale di cura.

In conclusione

La verità è che i limiti non servono a frenare la crescita, ma a darle una direzione.
Non sono muri, sono mappe.
Non sono catene, sono strutture che permettono di costruire libertà autentica.

Durante quella seduta, mentre ascoltavo le loro riflessioni e resistenze, mi è stato chiaro ancora una volta quanto i limiti — se spiegati, condivisi e sostenuti — possano essere un dono. Un modo per dire:
“Sono qui. Ti vedo. Ti accompagno.”

E forse, proprio questo, è il senso più profondo del limite.

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